Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra - Tesi di dottorato

Permanent URI for this collectionhttps://lisa.unical.it/handle/10955/34

Questa collezione raccoglie le Tesi di Dottorato afferenti al Dipartimento Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell'Università della Calabria.

Browse

Search Results

Now showing 1 - 6 of 6
  • Thumbnail Image
    Item
    Ruolo del sistema Glutammatergico nella plasticità neuronale amigdalare del Mesocricetus auratus
    (2008) Granata, Teresa; Canonaco, Marcello
    La plasticità sinaptica è un meccanismo neuronale alla base di funzioni complesse del Sistema Nervoso Centrale, come l’apprendimento e la memoria. Tali funzioni sono associate a eventi di potenziamento e depressione sinaptici necessari ad evitare che tutte le sinapsi vadano incontro a saturazione e prevenire cicli di feedback positivo tra l’attività della rete di neuroni e la forza sinaptica. I neuroni di per sé regolano le trasmissioni eccitatorie tramite la variazione del numero e della composizione sinaptica di alcuni sistemi recettoriali come quello glutammatergico. Un ruolo centrale nel controllo della plasticità neuronale è svolto sia dai recettori dell’NMDA che dell’AMPA, costituiti entrambi da diverse subunità recettoriali la cui variazione nella composizione e reciproca organizzazione determina la formazione di recettori con caratteristiche cinetiche e farmacologiche differenti, regolando i processi di plasticità sinaptica sia durante le fasi critiche dello sviluppo encefalico che di particolari stadi fisiologici quali l’ibernazione. In virtù di ciò, il Mesocricetus auratus, un roditore ibernante facoltativo, ha rappresentato un valido modello sperimentale per gli studi neurobiologici condotti in questo lavoro. In un simile contesto, un elemento chiave della regolazione plastica è costituito dal controllo eccitazione-inibizione attraverso fenomeni di cross-talking tra i recettori glutammatergici e quelli GABAergici. In questo lavoro si è evidenziato come l’attivazione di due delle principali subunità recettoriali GABAergiche, quali α1 e α5, abbia determinato un controllo negativo sulle azioni esplicate dagli agonisti glutammatergici, sia nel contesto delle attività di feeding e drinking behavior che dal punto di vista molecolare. Infatti, la subunità α1 si oppone maggiormente alle variazioni nella capacità e/o nella volontà di assumere acqua e cibo, in seguito all’azione dell’NMDA esplicata nell’area di transizione tra l’ipotalamo e l’amigdala, sia in eutermia che in ibernazione; diversamente α5 modula il comportamento alimentare AMPA-dipendente riconducibile all’attività dell’amigdala. E’ stato, inoltre, evidenziato, mediante l’ibridazione in situ, che le maggiori variazioni trascrizionali delle subunità recettoriali glutammatergiche avvengono in seguito alla modulazione per lo più inibitoria esercitata dal sistema GABAergico principalmente attraverso la subunità α5. Questo controllo trascrizionale sarebbe il risultato di meccanismi molecolari atti a modulare l’azione di fenomeni altamente eccitatori attraverso sofisticati processi di feedback negativo: il GABA, ormai inibitorio nell’encefalo adulto, tende a silenziare l’attivazione dei recettori eccitatori, modulando la trascrizione delle loro subunità recettoriali. Un simile meccanismo assume un ruolo funzionale importante nel controllo del ciclo di ibernazione, soprattutto del risveglio, quando potrebbero innescarsi fenomeni eccitotossici simil-ischemici che indurrebbero morte cellulare.
  • Thumbnail Image
    Item
    Effetti neuro-comportamentali del rame nei teleostei: ruolo dell'HSP90 e del sistema ORXergico
    (2012-11-29) Zizza, Merylin; Cerra, Maria Carmela; Canonaco, Marcello; Facciolo, Rosa Maria
    Tra i metalli, il rame (Cu2+), sebbene essenziale per il corretto metabolismo corporeo, può risultare un potente agente tossico in grado di promuovere pericolosi eventi nocivi, soprattutto nei pesci. Ad oggi, sono poche le informazioni sulla neurotossicità ramedipendente e le risposte attivate per la difesa e riparazione da tale tossicità. Su questi presupposti, nel presente lavoro sono stati investigati gli effetti del cloruro di rame (CuCl2), a diverse concentrazioni e tempi di esposizione, sia a livello comportamentale che neuronale nel teleosteo d’acqua dolce, Carassius carassius, e marino, Thalassoma pavo. Da un punto di vista molecolare, l’attenzione è stata indirizzata alle variazioni trascrizionali dell’Heat Shock Protein 90 (HSP90), chaperon con ruolo critico sia in condizioni fisiologiche che di stress. Alla luce di recenti evidenze che propongono il sistema orexinergico come cruciale nella coordinazione delle reazioni fisiologiche allo stress, è stata valutata anche la capacità dell’orexina-A (ORX-A), somministrata ogni giorno intraperitonealmente (10 ng/g peso corporeo) durante l’esposizione al Cu2+, di modulare gli effetti neuro-comportamentali di tale metallo nei suddetti teleostei. Il trattamento a breve termine (48h) con due concentrazioni di metallo, selezionate mediante screening preliminari in Carassius carassius (1.45 mg/L e 0.30 mg/L CuCl2) e Thalassoma pavo (1.07 mg/L e 0.25 mg/L CuCl2), ha causato evidenti alterazioni comportamentali. In particolare, il feeding è risultato notevolmente (p<0.001; p<0.01) ridotto, vs i controlli, in Carassius carassius e in Thalassoma pavo, rispettivamente. Nel primo pesce, la concentrazione di 1.45 mg/L ha causato anche una moderata (p<0.05) riduzione dello swimming, accompagnata da un simultaneo incremento del resting state. In modo analogo, in Thalassoma pavo, la riduzione dello swimming durante l’esposizione alla più bassa concentrazione, si è tradotta in un concomitante incremento del resting state. Nei teleostei marini, esposti a 1.07 mg/L di metallo, l’assenza di effetti significativi sul rest era dovuta alla comparsa di abnormal motor behaviors, caratterizzati da perdita di equilibrio e movimenti repentini ed improvvisi. In Carassius carassius tali atteggiamenti insorgevano solo moderatamente dopo 48h di esposizione alla alta concentrazione. Inoltre, durante l’esposizione, entrambi i teleostei mostravano una considerevole tendenza a nuotare verso la superficie (swimming towards surface). Accanto agli effetti sul comportamento, l’Amino Cupric Silver Stain ha anche mostrato segni di neurodegenerazione a carico dei neuroni, soprattutto nel nucleo laterale del telencefalo dorsale (Dl) degli esemplari esposti alle alte concentrazioni di contaminante. Parallelamente, l’ibridazione in situ ha fatto registrare nell’encefalo di Thalassoma pavo, trattato con la concentrazione più alta, un’up-regulation dell’HSP90 in differenti nuclei, come Dl (+87%). In Carassius carassius la risposta trascrizionale è stata invece meno evidente, con moderati incrementi dell’mRNA rinvenuti, ad esempio, nella valvola del cervelletto (VCe; +31%), in seguito a trattamento con la più alta concentrazione che causava anche moderate down-regulations a livello del telencefalo. E’ stato interessante notare che molte delle alterazioni comportamentali venivano ridotte dalla somministrazione di ORX-A, soprattutto a livello del feeding di entrambi i teleostei. In Carassius carassius si è potuto osservare, inoltre, una riduzione degli abnormal motor behaviors e dello swimming towards surface. Anche a livello neurodegenerativo, l’ORX-A è stata in grado di prevenire i danni indotti dal Cu2+, come nel Dl di Carassius carassius esposto alla più alta concentrazione. Dal punto di vista molecolare, l’ORX-A ha prevenuto la down-regulation indotta dal metallo in Dl, favorendo addirittura una moderata up-regulation del trascritto in TLo (+32%) di Carassius carassius esposto a 1.45 mg/L di CuCl2, rispetto ai controlli. Anche in Thalassoma pavo, il neuropeptide induceva una significativa up-regulation dell’espressione di HSP90, come nel nucleo laterale del telencefalo ventrale (Vl; +92%) durante esposizione alla concentrazione più bassa di CuCl2. Quando i pesci esposti al Cu2+ per 48h sono stati trasferiti in acqua priva di metallo, molti deficit neuro-comportamentali erano, almeno parzialmente, ripristinati. Inoltre, quasi tutti i nuclei encefalici di entrambi i teleostei, esposti alla più alta concentrazione, hanno mostrato incrementi significativi dell’mRNA per l’HSP90, sia rispetto al precedente trattamento che ai controlli. Alla luce dei dati ottenuti e in virtù del fatto che la bassa concentrazione aveva fatto rinvenire alterazioni neuro-comportamentali più lievi, in alcuni casi recuperabili, è stato interessante verificare gli effetti di questa stessa concentrazione in un trattamento cronico (21 giorni). Nel corso di tale trattamento, il feeding di Carassius carassius era drasticamente ridotto, rispetto ai controlli, a partire dal giorno 7 di esposizione mentre in Thalassoma pavo la riduzione diveniva elevata al giorno 14. A livello encefalico, si riscontrava una più estesa degenerazione che colpiva molti più campi neuronali, compreso il nucleo diffuso del lobo inferiore (NDLI). Al contempo, il trattamento cronico era responsabile di una generalizzata up-regulation dell’HSP90 in Thalassoma pavo e di un effetto trascrizionale sito-specifico in Carassius carassius. In quest’ultimo teleosteo, infatti, si riportavano down-regulations nel telencefalo (~-30%) e in NDLI (-55%), ed upregulations in TLo (+30%), VCe (+43%) e nel corpo del cervelletto (CCe; +52%). La somministrazione di ORX-A al 21 giorno, sebbene causasse un’attenuazione degli effetti del Cu2+ sul comportamento, non era però capace di ridurre i danni neuronali e, a livello trascrizionale, non influenzava in modo efficiente l’espressione dell’HSP90 Nel complesso, i risultati di questo lavoro di Dottorato forniscono importanti evidenze degli effetti neuro-comportamentali del Cu2+ in Carassius carassius e Thalassoma pavo, sottolineando il coinvolgimento dell’HSP90 nei meccanismi di protezione e riparazione innescati a livello encefalico. In aggiunta a ciò, per la prima volta, si suggerisce l’implicazione del sistema ORXergico nell’attivazione di risposte adattative allo stress indotto dal Cu2+, sia nei teleostei marini che d’acqua dolce
  • Thumbnail Image
    Item
    I nitriti come molecola segnale: effetti diretti e indiretti sulla regolazione dell'attività cardiaca
    (2012-11-20) Montesanti, Gabriella; Cerra, Maria Carmela; Canonaco, Marcello; Pellegrino, Daniela
    Nitrite anion is a physiological NO storage form and an alternative way for NO generation, recently emerged as a cardioprotective endogenous modulator. Using Langendorff perfused rat hearts, as paradigms of mammals heart, we explored nitrite influence on the Frank-Starling response. We demonstrated that, like NO, exogenous nitrite improves the Frank-Starling response in rat heart as indicated by Left Ventricular Pressure (LVP) and the maximal rate of LVP decline (LVdP/dtmax), used as indexes of inotropism. Noteworthy, the minimal negative derivative of intraventricular pressure, LVdP/dt min, used as indexes of lusitropism, was positively affected by nitrite, suggesting the anion involvement not only in the systolic but also in the diastolic phase. This positive influence of nitrite was unaffected by endocardial endothelium impairment and NOS inhibition. In addition, the effect resulted sensitive to NO scavengers, independent on nitroxyl anion, and mediated by a cGMP/PKG-dependent pathway. These results suggest that nitrite acts as a physiological source of NO modulating the stretch-induced intrinsic regulation of the mammals heart. Moreover, nitrite affects numerous biological processes through NO-independent pathways (Bryan et al., 2005), including the S-nitrosylation of thiol-containing proteins (Foster et al., 2003). The mechanisms underlying these phenomena, until now not fully understood, are of great interest because of their cardiovascular therapeutic potential. In the last part of this study we analysed in the rat heart whether nitrite affect S-nitrosylation of cardiac proteins and the potential targets for S-nitrosylation. Rat hearts, perfused according to Langendorff, were exposed to nitrite and then analysed by Biotin Switch Method. We showed that nitrite increased the degree of S-nitrosylation of a broad range of membrane proteins. Further analysis, conducted on subfractioned proteins, allowed us to identify a high level of nitrosylation in a small range of plasmalemmal proteins (45-50 kDa). The increment in S-nitrosylation at this location was characterized by using an anti-Kir2.1 rabbit polyclonal antibody. We also verified that this effect of nitrite is preserved in the presence of the NO scavenger P-TIO. Finally, we wanted to investigate the direct effects of nitrite using two specific inhibitors of the major nitrite reductase in the heart, xantine oxidoreductase and citocrome P450 (allopurinol and ketoconazole respectively). The effect of nitrite in the presence of these inibitors is a bit reduced compared to control. A further analysis of this result, we used nitrite in the presence of N-acetyl-L-cysteine (NAC), a specific inhibitor of the nitroxyl anion (HNO). In this case, unlike that observed with the P-TIO, the effect of nitrite is significantly reduced. Our results suggest, for the first time, that nitrite represents a direct S-nitrosylating agent in cardiac tissues and that Kir2.1 channels are one of the targets. These observations are of relevance since they support the growing evidence that nitrite is not only a NO reserve but also a direct modulator of important functional cardiac proteins
  • Thumbnail Image
    Item
    Il ruolo della Cromogranina A e dei suoi peptidi derivati, Serpinina e Catestatina, nella fisiopatologia cardiaca
    (2012-11-24) Gentile, Stefano; Cerra, Maria Carmela; Angelone, Tommaso; Canonaco, Marcello
    Il ruolo cardiovascolare della CgA e dei suoi peptidi bioattivi è stato ampiamente documentato. I livelli plasmatici di CgA (range fisiologico da 0.5nM a 5nM), inizialmente utilizzati nella pratica clinica come biomarker di tumori neuroendocrini (O’Connor and Bernstein, 1984; Stridsberg and Husebye, 1997), rappresentano anche un importante marker per le disfunzioni del sistema cardiocircolatorio come ad esempio l’ipertensione essenziale, le cardiomiopatie ipertrofico/dilatative e l’insufficienza cardiaca (Ceconi et al., 2002). Recentemente Jansson et al. (2009), e Rosjo et al. (2010), hanno dimostrato che i livelli di CgA nella sindrome coronarica acuta forniscono informazioni prognostiche indipendentemente dagli altri markers di rischio convenzionali. L’importanza della CgA nella biologia cardiaca è inoltre supportata dall’osservazione che la delezione del gene per la CgA nei topi provoca lo sviluppo di ipertensione, che può essere riportata a livelli fisiologici trattando gli animali con CST o reintroducendo il gene per la CgA in topi con background Chga-/- (Mahapatra et al., 2005). I livelli plasmatici di CgA aumentano in condizioni di eccessiva stimolazione del sistema simpatico, particolarmente evidente nell’insufficienza cardiaca. Ceconi et al. (2002) e Pieroni et al. (2007), hanno dimostrato che in pazienti affetti da insufficienza cardiaca le concentrazioni plasmatiche di CgA sono aumentate (10-20 nM; 500-1000ng/ml), e strettamente correlate alla severità della patologia. Al momento non sono però disponibili informazioni sugli effetti diretti della CgA intera sul cuore, e sui fattori che regolano la sua produzione e processamento a livello miocardico.Il presente lavoro ha quindi lo scopo di chiarire se, e in che misura, la CgA intera induce effetti diretti sulla performance cardiaca, e la possibilità di un processamento proteolitico intracardiaco stimolo-dipendente della proteina. Utilizzando ratti normotesi (WKY) e ipertesi (SHR), abbiamo valutato i) gli effetti miocardici e coronarici della CgA intera nel cuore di ratto isolato e perfuso secondo metodica Langendorff; ii) il pathway trasduzionale (Akt/NOS/NO/cGMP/PKG) coinvolto nel suo meccanismo d’azione; iii) il processamento intracardiaco della CgA in seguito a stimolazione -adrenergica con ISO. Dal processamento della CgA deriva una serie di peptidi bioattivi; fra questi i peptidi N-terminali VS-1/2, (VS-1 CgA1-76; VS-2 CgA1-113), e il peptide C-terminale CST (CgA352-372), hanno effetti cardioattivi. La CST promuove l’angiogenesi (Theurl et al., 2010), abbassa la pressione sanguigna (Mahapatra et al., 2005; Fung et al., 2010; Gaede and Pilowsky, 2012), riduce la contrattilità cardiaca (Angelone et al., 2008; Mazza et al., 2008; Imbrogno et al., 2010), e incrementa la sensibilità dei barocettori (Gayen et al., 2009a; Gaede and Pilowsky, 2010). Recentemente è stato scoperto un nuovo frammento derivato dalla CgA. A livello della regione C-terminale, altamente conservata, il clivaggio proteico ad opera delle pro-ormone convertasi (PC1/2/3), genera un frammento di 2.9 kDa, la “serpinina” (Ala26Leu), il quale può subire una modificazione all’estremità N-terminale per formare un residuo di piro-glutammato (pGlu23Leu o pGlu-serpinina) (Koshimizu et al., 2011a,b). La presenza di entrambe le forme di serpinina è stata rilevata in colture di cellule di ghiandola pituitaria (AtT20). Questi peptidi sono in grado di inibire la morte cellulare indotta da stress ossidativo (Koshimizu et al., 2011a), e di promuovere la biogenesi dei granuli secretori nelle cellule endocrine regolando l’espressione di un inibitore delle proteasi, la proteasi nexina-1 (PN-1), che previene la degradazione delle proteine dei granuli nell’apparato di Golgi. È stato osservato che i peptidi della serpinina agiscono attraverso il pathway AC/cAMP/PKA (Koshimizu et al., 2011b), suggerendo che il meccanismo eccitatorio indotto dalla serpinina potrebbe controbilanciare gli effetti antiadrenergici e cardioinibitori indotti dalla CST e VS-1. Ad oggi non esistono evidenze sperimentali sul possibile ruolo cardioattivo della serpinina; pertanto nel presente lavoro di tesi è stata valutata la presenza di questo peptide e delle sue forme alternative nel cuore di ratto; è stato inoltre osservato in che modo influenzano la performance miocardica e la vasoattività coronarica. La serpinina e la pGlu-serpinina inducono un effetto positivo dose-dipendente sulla contrazione (inotropismo) del cuore di ratto isolato e perfuso secondo metodica Langendorff e sui muscoli papillari isolati, nonché sul rilassamento (lusitropismo) miocardico. Questi effetti miocardici sono stati accompagnati da una lieve, ma non significativa, vasodilatazione coronarica. Un terzo peptide, la serpinina Ala29Gly, non ha influenzato la performance cardiaca a nessuna delle concentrazioni testate. Sia la serpinina che la pGlu-serpinina sembrano agire attraverso il pathway 1-AR/AC/cAMP/PKA. Questi dati evidenziano le proprietà cardio-circolatorie della serpinina e della pGlu-serpinina, fornendo ulteriori informazioni su come i peptidi CgA derivati possano, controbilanciandosi, regolare finemente l’attività cardiaca in risposta a stimoli -adrenergici.Il quadro clinico dei pazienti affetti da cardiopatie è complicato da un’altra patologia che si accompagna spesso alle cardiopatie, la sindrome metabolica. E’ stato constatato, infatti, che circa il 30% di pazienti con cardiopatia ischemica acuta sono affetti da sindrome metabolica (ad esempio diabete, obesità). Il peptide CgA derivato prancreastatina (CgA250-301, PST) (Tatemoto et al., 1986; O’Connor et al., 2005; Gayen et al., 2009b), svolge diverse funzioni a livello metabolico, in particolare sul metabolismo del glucosio (Tatemoto et al., 1986). Tuttavia non sembra avere effetti a livello cardiovascolare. Studi recenti hanno evidenziato il ruolo della PST e della CST nel regolare la secrezione di insulina mantenendo l’omeostasi fra l’effetto anti-insulina della PST, e gli effetti insulino-sensitizzante della CST. (Gayen et al., 2009b). È stata valutata la possibile azione della CST sul metabolismo lipidico che, come è ben noto, risulta alterato nei soggetti obesi. Le cellule adipose sono regolate dalle catecolamine attraverso quattro tipi di AR: 1, 2, 3 e 2 (Arner, 1999; Arner, 2005). L’attivazione dei recettori -AR, coinvolgento le proteine G stimolatorie, aumenta la produzione di cAMP; questo a sua volta attiva la PKA, la quale fosforila la lipasi ormone sensibile (HSL) causando l’idrolisi dei lipidi. Al contrario, l’attivazione dei recettori 2-AR, accoppiati a proteine G inibitorie, inducono effetti opposti sulla lipolisi (Lafontan et al., 1997; Stich et al., 1999, 2003; Lafontan and Langin, 2009). Pertanto l’azione netta delle catecolamine sulla lipolisi dipende dall’equilibrio fra recettori - e -AR (Arner, 2005). Normalmente l’azione lipolitica indotta dai recettori -AR prevale sull’azione -AR. Una continua stimolazione del sistema nervoso simpatico o un aumento delle catecolamine plasmatiche, è spesso associato alla desensitizzazione dei -AR (Mori et al., 2007). Studi in vivo hanno dimostrato che l’azione lipolitica delle catecolamine è ridotta nei soggetti obesi (Bougneres et al., 1997; Jensen, 1997). Il trattamento ripetuto con epinefrina induce soppressione della lipolisi, basale e indotta da epinefrina, sia in soggetti normopeso che obesi (Townsend et al., 1994). Anche negli studi in vitro la risposta lipolitica indotta dall’epinefrina è diminuita dal pretrattamento con la stessa molecola (Stallknecht et al., 1997). Sulla base di questi dati, è stato ipotizzato che l’aumentata massa adiposa dei topi iperadrenergici Chga-KO (Gayen et al., 2009a) possa rispecchiare la desensitizzazione dovuta all’aumento delle catecolamine circolanti (Mahapatra et al., 2005). I topi Chga-KO mostrano, nonostante gli elevati livelli circolanti di catecolamine e leptina, una notevole adiposità. Le catecolamine inibiscono la secrezione della leptina (Fritsche et al., 1998; Scriba et al., 2000; Couillard et al., 2002); la desensitizzazione del -AR potrebbe prevenire tale effetto, causando un aumento dei livelli di leptina e della massa adiposa, così come mostrato nei topi Chga-KO e in altri modelli sperimentali di obesità. Come osservato nei topi DIO (diet induced obesity), l’aumento di leptina circolante induce la desensitizzazione dei recettori per la leptina, possibile causa del fenotipo obeso dei topi Chga-KO. Sulla base di queste osservazioni, è stato ipotizzato che la CST possa ridurre l’obesità ripristinando la sensibilità dei recettori adrenergici e dei recettori per la leptina attraverso la normalizzazione dei livelli plasmatici di catecolamine e leptina. È stato infatti osservato che il trattamento cronico con CST induce una significativa riduzione della massa adiposa nei topi Chga-KO. Il trattamento con CST ha inoltre determinato una riduzione del peso corporeo e della massa adiposa anche nei topi DIO, senza alterare l’assunzione di cibo. Sia nei topi DIO che nei topi ob/ob, in cui l’obesità è dovuta all’incapacità di produrre leptina, la CST è in grado di incrementare gli effetti della leptina sul metabolismo e sul signaling del tessuto adiposo. Le nostre osservazioni suggeriscono che la riduzione della massa grassa dopo trattamento cronico con CST è dovuta ad un aumento della lipolisi e della mobilizzazione dei lipidi; inoltre sembra che la CST agisca attraverso i recettori 2-AR e i recettori per la leptina. In linea con tali osservazioni, la CST promuove l’ossidazione degli acidi grassi e il signaling della leptina.
  • Thumbnail Image
    Item
    Sistema NOS/NO e condizioni di stress: meccanismi di adattamento cardiaco
    (2012-11-21) Capria, Carla; Cerra, Maria Carmela; Canonaco, Marcello; Imbrogno, Sandra G. V.
    Questo lavoro di tesi di dottorato ha analizzato l’influenza di condizioni di stress, quali temperatura e disponibilità di ossigeno, sulla modulazione ossido nitrico sintasi (NOS)/ossido nitrico (NO)‐dipendente della performance cardiaca dei teleostei (Parte 1 e 2). Nell’ultima parte del lavoro, realizzato presso il Dipartimento di Medicina Cardiovascolare dell’Università di Oxford, è stato valutato l’effetto dello stress iperglicemico sulla struttura e funzionalità dell’enzima NOS nei mammiferi (Parte 3). Parte 1. Temperatura e modulazione NO‐dipendente della risposta di Frank‐Starling nel teleosteo Anguilla anguilla La legge di Frank Starling è una proprietà fondamentale del miocardio dei vertebrati che permette al cuore di generare una risposta contrattile adeguata alle variazioni del precarico. È stato dimostrato che nel cuore di anguilla (Anguilla anguilla), l’Ossido nitrico (NO) esercita un effetto rilassante diretto sul miocardio, aumentando la sensibilità del cuore alla risposta di Frank‐Starling. Utilizzando un preparato di cuore isolato e perfuso come modello sperimentale, il presente studio ha analizzato la relazione tra modulazione NO‐dipendente della risposta di Frank‐Starling e variazioni di temperatura. I risultati ottenuti hanno dimostrato che nei pesci acclimatati a varie temperature (animali primaverili perfusi a 20°C e animali invernali perfusi a 10°C) l’inibizione della Ossido Nitrico Sintasi (NOS), e quindi della produzione di NO, mediante trattamento con L‐NIO ha ridotto la risposta di Starling, mentre in condizioni di shock termico (animali primaverili perfusi a 10 e 15°C e animali invernali perfusi a 15 e 20°C) il trattamento con L‐NIO non ha esercitato alcun effetto. Le analisi di Western Blotting hanno evidenziato una riduzione dell’espressione di p‐eNOS e p‐Akt in campioni sottoposti a shock termico. Inoltre, in condizioni di acuti aumenti di temperatura, è stato osservato un incremento dell’espressione proteica di Hsp90. Nel complesso, i risultati suggeriscono che la modulazione NOS/NO dipendente della risposta di Starling nel cuore dei pesci è sensibile allo stress termico. Parte 2. Sistema NOS/NO e resistenza all’ipossia: il cuore di goldfish come modello sperimentale Il goldfish (Carassius auratus) è un teleosteo noto per la sua capacità di tollerare prolungati e severi stati ipossici, ed è pertanto considerato un prezioso modello sperimentale per lo studio dei meccanismi che permettono la sopravvivenza ed il mantenimento della funzionalità cardiaca in condizioni in cui la disponibilità di O2 rappresenta un fattore limitante. Il presente lavoro ha permesso la caratterizzazione morfo‐funzionale del cuore di goldfish ed ha fornito le basi per l’analisi del ruolo dello NO sia come modulatore della performance cardiaca basale che come fattore coinvolto nei meccanismi di tolleranza a condizioni di ipossia. Oltre alle classiche 4 camere cardiache, ovvero seno venoso, atrio, ventricolo e bulbo arterioso, sono state identificate altre due strutture, corrispondenti alla regione atrio‐ventricolare (AV) e al cono arterioso. L’atrio è molto ampio ed altamente trabecolato; il ventricolo appare costituito da una parte esterna di miocardio compatto, vascolarizzato da vasi coronarici, ed una interna di miocardio spugnoso; la parete bulbare è caratterizzata da un elevato rapporto elastina/collagene, che ne aumenta la compliance. Gli esperimenti di immunolocalizzazione hanno evidenziato la presenza dell’isoforma endoteliale attiva della NOS (p‐eNOS) a livello dell’endotelio coronarico ed, in minor misura, nei miocardiociti e nell’endotelio vascolare. L’utilizzo di preparati di cuore isolato e perfuso, ha permesso la caratterizzazione funzionale del cuore di goldfish sia in condizioni basali che in risposta ad incrementi di precarico. I cuori sono risultati estremamente sensibili ad incrementi della pressione di riempimento, raggiungendo il massimo valore di SV (SV=1.08±0.09 mL/kg peso corporeo) a 0.4 kPa. In condizioni ipossiche, tale sensibilità è risultata ancora maggiore; i preparati hanno infatti raggiunto il massimo valore di SV (SV=1.5±0.2 mL/kg peso corporeo) a valori di pressione di riempimento minori (0.25 kPa). Variazioni della pressione di postcarico ne hanno invece compromesso la funzionalità. Tali caratteristiche morfo‐funzionali ci permettono di definire il comportamento del cuore di goldfish come pompa di volume. In condizioni basali, il trattamento con L‐NMMA (inibitore della NOS) ha esercitato un effetto inotropo positivo sia in normossia che in ipossia, mentre il trattamento con nitrito ha indotto un effetto inotropo negativo in condizioni normossiche ed un effetto inotropo positivo in condizioni ipossiche. In risposta agli incrementi di precarico, il trattamento con L‐NMMA ha significativamente ridotto la curva di Starling in normossia, mentre non ha esercitato alcun effetto in ipossia; al contrario, il nitrito non ha modificato la risposta di Starling in condizioni normossiche, mentre ha ridotto tale risposta in condizioni ipossiche, riportandola ai valori di controllo ottenuti in normossia. Questi risultati hanno evidenziato un ruolo del sistema NOS/NO nella modulazione della performance cardiaca sia basale che fisicamente stimolata, ed una sensibilità dei meccanismi di regolazione NOS/NO‐dipendenti a variazioni della concentrazione di ossigeno. Parte 3. NOS e stress iperglicemico: ruolo della BH4 sulla struttura e funzionalità dell’enzima La NOS, principale sorgente di NO in condizioni fisiologiche, è sintetizzata in forma monomerica, ma esplica le sue funzioni solo dopo formazione dell’omodimero attivo. Il corretto funzionamento della struttura dimerica richiede la presenza di una serie di cofattori, il più importante dei quali è la 5,6,7,8‐tetraidrobiopterina (BH4), responsabile della stabilizzazione del dimero. In assenza di tale cofattore infatti l’enzima produce anione superossido e non NO. La BH4 è sintetizzata in vivo attraverso un pathway il cui enzima limitante è la GTP Ciclo Idrolasi (GCH). Una riduzione della disponibilità di BH4 è stata associata alla disfunzione vascolare correlata a varie patologie con implicazioni a livello cardiovascolare, tra cui il diabete. In questo contesto, utilizzando modelli di topi mGCH‐Tg è stato analizzato il ruolo della BH4 nel disaccoppiamento dell’enzima NOS associato a stress iperglicemico. La caratterizzazione del fenotipo di questo modello sperimentale ha evidenziato una over‐espressione, miocardio specifica, dell’enzima GCH, ed un aumento delle concentrazioni di BH4 e dei suoi prodotti ossidati in tessuto ventricolare di topi mGCH‐Tg rispetto ai topi WT. Inoltre, la produzione di superossido è risultata significativamente ridotta rispetto ai topi di controllo, confermando l’ipotesi che la BH4 riveste un ruolo fondamentale nella stabilizzazione della forma dimerica dell’enzima NOS. L’induzione del diabete di tipo 1 non ha modificato tali risultati. La concentrazione di BH4 e dei suoi prodotti ossidati, così come la produzione di superossido, non sono risultate infatti modificate in condizioni di iperglicemia, supportando l’ipotesi che un aumento della disponibilità di BH4 favorisce l’accoppiamento dell’enzima NOS anche in condizioni di stress iperglicemico. Nel complesso, i nostri dati suggeriscono un ruolo protettivo della BH4 nei meccanismi di stress ossidativo associati alla condizione diabetica. Nell’insieme, i dati ottenuti suggeriscono che nel cuore dei vertebrati il sistema NOS/NO rappresenta un punto nodale su cui convergono segnali attivati da condizioni di stress (ad esempio, variazioni di temperatura, stress ipossico ed iperglicemico), e da cui si dipartono cascate trasduzionali fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi cardiaca in talicondizioni.
  • Thumbnail Image
    Item
    L’Angiotensina II modula il calcio intracellulare attivando AT1R, tramite la via di trasduzione dell’IP3 e i canali per il calcio di Tipo T (TCC).
    (2008) Martini, Aurela; Martino, Guglielmo; Canonaco, Marcello
    L’ Angiotensina II è il maggiore effettore del sistema renina-angiotensina. L’Angiotensina I, formata in seguito all’attività enzimatica della renina, interagisce con l’ACE plasmatico e con quello dell’endotelio polmonare convertendosi in Ang II.1 Successivamente l’Ang II è veicolata dal circolo ai suoi organi bersaglio regolando la pressione sanguigna, il bilancio idrico e il tono muscolare. Gli effetti indotti dal peptide sono mediate principalmente da due tipi di recettori di membrana, AT1 e AT2.2 I recettori AT1 stimolano un elevato numero di sistemi di trasduzione del segnale all’interno della cellula, quali fosfolipasi A (PLA), fosfolipasi D (PLD), fosfolipasi C (PLC), le MAP kinasi e la mobilizzazione del calcio intracellulare; infatti è ben nota la modulazione della concentrazione intracellulare di questo ione dall’idrolisi di fosfatidilinositolo-4,5-difosfato. Un’ ulteriore quantità di Ca2+ entra nella cellula anche dall’esterno grazie all’apertura dei canali del calcio. Recenti studi hanno dimostrato l’esistenza dei canali per il calcio di tipo T a livello delle cellule endoteliali, ma il loro vero ruolo non è ancora del tutto chiaro.3 Scopo dello studio: Esaminare il coinvolgimento dell’Ang II nell’incrementare la [Ca2+]i anche attraverso l’attivazione dei canali del calcio di tipo T nelle cellule HUVEC e determinare quale dei due recettori, AT1 o AT2, è coinvolto della attivazione di questi canali. La prima tappa di questo studio è stata la messa a punto del protocollo per la determinazione della vitalità cellulare, mediante l’ Arancio di Acridina, della concentrazione del Calcio, NO e ROS utilizzando rispettivamente le sonde: Fluo-3AM, DAF-2DA e HDCFH-DA. Metodo: Le HUVEC utilizzate al terzo passaggio, sono state mantenute e cresciute in coltura mediante mezzo specifico per cellule endoteliali EGM® Bullet Kit (Lonza) contenente 10% FBS. Le cellule sono state trattate con Ang II alle concentrazioni: 10-9 M o 10-7 M o 10-6 M in presenza o meno degli antagonisti dei recettori AT1 o AT2 per la messa a punto del protocollo. Nel secondo studio le cellule sono state trattate con Ang II alle suddette concentrazioni in presenza degli antagonisti e in presenza o meno dell’ inibitore della via IP3 o del TCC. Le cellule trattate con le sonde sono state osservate dopo 3, 6 e 9 ore. Le immagini sono state catturate col microscopio Olympus utilizzando ProImagePlus 4.0 ed analizzate col programma NIH ImageJ. Risultati: La valutazione dell’effetto dell’Ang II sulla vitalità e sulla modulazione della concentrazione del Calcio, NO e ROS a livello delle cellule endoteliali, ha evidenziato che la concentrazione ottimale per la valutazione degli effetti intracellulare di questo octapeptide nelle cellule endoteliali è 10-7 M; le cellule HUVUC rappresentano un buon modello per valutare l’azione dell’Ang II sull’ endotelio capillare. Il secondo studio ha dimostrato che l’ Ang II induce un alterazione del calcio intracellulare attraverso l’interazione col recettore AT1 stimolando la via IP3 per rapidi effetti fisiologi mentre attiva i canali del calcio di tipo T per tempi maggiori o uguali a 9 ore. Tali risultati suggeriscono che i T-Type Calcium channels regolano direttamente la permeabilità al calcio delle membrane plasmatiche di cellule HUVEC, mediante canali selettivi e non solo tramite la via IP3. Questo risultato mette in risalto il ruolo dei TCC nella regolazione metabolica e strutturale diretta delle cellule endoteliali, accanto a quella delle cellule muscolari lisce dei capillari.